POLITICAPP | 11 dicembre 2015

Un nuovo paradigma ecologico integrale

Disillusi. Sono pochi gli italiani che si aspettano decisioni rivoluzionarie dalla conferenza sul clima di Parigi. Lo scetticismo domina, specie sulla volontà dei capi di governo di affrontare in modo determinato e concreto il nodo climatico.

Bruciano sulla pelle le tante conferenze internazionali sul clima finite nel nulla. Brucia il ricordo (spesso sfocato, ma presente) dei tanti disastri ambientali che hanno costellato la storia recente. In questi giorni, esattamente il 3 dicembre, è ricorso il trentunesimo anniversario del disastro di Bhopal (India), in cui la fuga di pesticidi dalla fabbrica dell’Union Carbide ha ucciso circa 4.000 persone (si stima che negli anni successivi siano morte altre 20.000 persone). La storia dei disastri ambientali, purtroppo, è lunga: lo scoppio del reattore nucleare di Cernobyl (1986); la nube di tetraclorodibenzoparadiossina fuggita dalla fabbrica di pesticidi di Seveso (1976); l’incidente alla petroliera Exxon Valdez del 1989 (40,9 milioni di litri di petrolio in mare); il Great Pacific Garbage Patch, l’isola di plastica che galleggia nel Pacifico; l’esplosione alla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon (2010) che ha riversato nel Golfo del Messico milioni di barili di petrolio; non ultimo, l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima (2011).

Nella mente degli italiani, infine, risuonano i tanti allarmi, dal buco nell’ozono ai cambiamenti climatici. Il tema dell’ambiente ha cambiato pelle. Non è più un argomento per pochi attivisti; non è più un aspetto cui prestano attenzione le persone più impegnate, ma è diventato parte integrante della coscienza e dei valori della maggioranza delle persone. Solo per un quarto della popolazione, infatti, l’ambiente è un tema di moda, passeggero.

Per la maggioranza dell’opinione pubblica (oltre l’85%) è un valore e una necessità assoluta.



Gli italiani (con quote che oltrepassano i due terzi dell’opinione pubblica) sono preoccupati per i cambiamenti climatici, per le emissioni di gas serra, per l’innalzamento della temperatura della superficie terrestre. Problemi su cui, quasi la metà del Paese, esprime addirittura un livello di apprensione molto alto. Il tema ambientale, nel corso degli ultimi 10 anni, è assurto a valore di primo livello e, oggi, sta incidendo sul modo di pensare e agire delle persone. Se un tempo, la partita sul clima era argomento delegato ai governi (e al comportamento degli altri), oggi è sempre di più un tema di azione individuale, un aspetto su cui tutti, e in modo concreto, devono impegnarsi. Nessuna delega, ma la disponibilità ad agire e fare. Non a caso, oltre il 70% dell’opinione pubblica si dice disposta a boicottare i prodotti che provengono da Paesi che inquinano o a colpire nel portafoglio le aziende italiane che, facendo le furbette, spostano la produzione in Paesi tolleranti verso chi inquina. Quella che si sta sviluppando nel nostro Paese, per dirla con le parole del filosofo francese Edgar Morin, è una forma di ecologia integrale. Un’ecologia che non è né integralista, né militante. Non intende convertire le persone al culto della Terra, ma è consapevole del valore strategico (totale e integrale) dell’ecologia per le nostre vite, la nostra civiltà, i nostri modi d’agire, i nostri figli, il nostro futuro. Un’ecologia profondamente critica sia con il paradigma del profitto sia con la subalternità esasperata alla tecno-economia. Non siamo di fronte a impeti di protesta, bensì a una ben più profonda presa di coscienza collettiva, a una spinta a ripensare la società e il modo di agire di ciascuno. Un’ecologia integrale che non è più disposta a fare sconti ai governi e agli interessi delle multinazionali, che non vuole più cedere al ricatto lavoro contro ambiente, ma pretende dai leader un atteggiamento propulsivo nel progettare e costruire un nuovo paradigma ecologico dello sviluppo e dell’economia.