POLITICAPP | 9 settembre 2016

Immigrazione e integrazione

Prima gli italiani, un leit motiv che prende piede

“La globalizzazione è come la rottura di una placenta: le civiltà sono destinate a fondersi”. A sostenerlo è Remo Bodei, il filosofo italiano dell’Università della California. Solo un terzo degli italiani, però, la pensa come il filosofo. Una quota che si è andata restringendo negli anni. Dieci anni fa, il 43% delle persone riteneva necessario aiutare gli immigrati a integrarsi. Oggi la quota si è ridotta al 26%. Sempre due lustri fa, meno di un quinto del Paese riteneva necessario pensare prima agli italiani, oggi il claim ha conquistato nuovi spazi ed è condiviso da quasi un quarto del Paese. Per quasi metà del Paese, oggi come ieri, gli immigrati alimentano i problemi di sicurezza nei piccoli e grandi centri e sono un crogiolo di criminalità. Nel corso dell’ultimo decennio si è modificato anche l’atteggiamento rispetto ai flussi.
La quota d’italiani che vorrebbe respingere il maggior numero possibile di persone è aumentata, solo nell’ultimo anno, del 20% e l’atteggiamento di avversità ha vissuto non solo una crescita dimensionale, ma anche uno sviluppo trasversale, incontrando, con differenti intensità, le simpatie di segmenti presenti nei vari schieramenti politici. Ben presente nell’elettorato di centrodestra, la volontà respingente si è diffusa oltre i confini della Lega Nord e ha coinvolto (conquistandola, in parte) la base elettorale berlusconiana. Dinamiche analoghe, però, hanno iniziato a fare capolino anche nella galassia elettorale dei Cinquestelle e nel blocco sociale del PD. Segno inequivocabile di quanto la frattura immigrati-italiani sia cresciuta in intensità e valore politico e sia divenuta uno dei driver mobilitanti nelle scelte di voto. Oggi ci sono quote del corpo elettorale, di non secondaria importanza, disponibili a cambiare casacca politica (e anche sponda) in base ai richiami generati dal tema immigrazione. A fare realmente breccia nei diversi elettorati, tuttavia, è il claim “prima gli italiani”. Esso sta assumendo i contorni di un’issue politica penetrante e coinvolgente.

La sfida dell’integrazione reciproca e tranquilla

Una sirena emozionale (con vestito razionale) capace di parlare ad ampi e diversificati strati della società, aprendo brecce in elettorati che, fino a ieri, sembravano refrattari a tali argomenti.
Nel Paese, va chiarito, restano minoritarie le pulsioni radicali (come le ipotesi di muri che qua e là spuntano nel continente), come non fanno breccia le narrazioni che raffigurano gli immigrati come “cavallo di Troia” per le nostre società, ma non si deve dormire sugli allori. Le pulsioni serranti, le simpatie per ricette dure e semplificatorie, rischiano di trovare terreno fertile ed espansivo nelle classi medio-basse, nel ceto medio colpito dalla crisi e infragilito nella sua identità sociale, nelle terre economicamente martoriate del Sud e delle Isole. “Prima gli italiani” sta diventando un mood che si diffonde carsicamente, facile da capire, una risposta semplice alle complessità dell’oggi, in grado di parlare, trasversalmente, a una vasta platea sociale.
La crisi, il perdurare della stagnazione economica, l’incedere del terrorismo, il senso di incertezza diffuso, la mixofobia presente nelle nostre città (il fastidio provato dalle persone per il melting pot che già oggi è la nostra realtà), generano un humus fertile per questa issue.
Il tema immigrazione (come ha ammesso Merkel) è stato sottovalutato dai governi ed è stato affrontato, fino ad ora, con una logica emergenziale.
Oggi questo tema non può più far parte delle seconde fila dell’agenda europea, ma deve diventare un ambito strategico, in cui sperimentare una nuova visione di società e sviluppo. La sfida è quella dell’integrazione reciproca e tranquilla, dell’affermarsi di una politica di civiltà, che non promuove né l’assimilazione né il cambiamento degli altri, ma genera una nuova idea di Paese e cittadinanza. Una sfida d’idee e progetti che ha molti ostacoli sul proprio cammino, primo fra tutti quello del tempo. Quello perso va recuperato e…celermente.

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